Francesco ha 21 anni e frequenta il secondo anno della facoltà di Giurisprudenza all’Università “Sapienza” di Roma. È andato a vivere nella capitale, lasciando la sua famiglia e il suo paese d’origine, Ospedaletto d’Albinolo. Pasquale, il fratello maggiore di due anni, è rimasto con i genitori. È affetto da ceroidolipofuscinosi, una malattia rara con insorgenza in età pediatrica, che riguarda un caso ogni 100mila nati. Catalogata in 13 diverse varianti, questa patologia dal nome difficile da pronunciare prevede una complessa serie di manifestazioni, tra cui epilessia, calo della vista, disturbo motorio e decadimento cognitivo.
La presenza di mio fratello non ha mai rappresentato un peso per me.
Lo definisco semplicemente una persona speciale.
“Ho scelto la facoltà di Giurisprudenza perché si tratta di una materia che mi piace molto”, esordisce Francesco. “E ho deciso di andare a studiare a Roma, perché volevo diventare più autonomo. Così ora condivido un trilocale con tre ragazzi di Avellino e sono diventato effettivamente più indipendente. Oggi, infatti, cucino, faccio la lavatrice, pago le bollette, insomma faccio tutto quello che bisogna fare quando si va a vivere da soli o, per lo meno, ci provo». Quanto a suo fratello, racconta: “I miei scoprirono la malattia di Pasquale quando lui aveva quattro anni e io due. Ero troppo piccolo per avere dei ricordi chiari della trasformazione di mio fratello: so solo che un tempo parlava, giocava e camminava esattamente come gli altri bambini”. Anche sulla manifestazione della patologia e il conseguente cambiamento delle abitudini familiari, Francesco non calca la mano, forse proprio perché all’epoca era solo un bambino di due anni. “La cosa non mi è mai pesata”, afferma. “Non ho mai provato vergogna. Sono cresciuto come un figlio unico, la presenza di mio fratello non ha mai rappresentato un peso per me. Lo definisco semplicemente una persona speciale”.
Per quanto mi riguarda non mi sono mai sentito trascurato, ho ricevuto sempre le attenzioni di cui avevo bisogno.
“I miei genitori hanno sempre cercato di non fare differenze tra e me Pasquale”, prosegue Francesco. “Si sono sempre sforzati di metterci sullo stesso piano e di non avere atteggiamenti privilegiati nei confronti dell’uno o dell’altro. Per quanto mi riguarda non mi sono mai sentito trascurato, ho ricevuto sempre le attenzioni di cui avevo bisogno”. Tuttavia, da sempre Francesco ha avvertito che suo fratello avesse bisogno di una considerazione speciale e ha sempre cercato di fare tutto quello che poteva per aiutare Pasquale e i suoi genitori. “Quando posso, do una mano”, precisa. “Se sono a casa, in genere lo aiuto a passare dal letto alla sedia, visto che sta diventando troppo pesante per mia madre. O, quando andiamo al mare, lo assisto nel fare il bagno, soprattutto nel passaggio dal lettino all’acqua. Ho avuto sempre un buon rapporto con Pasquale e, se qualche volta mi sono arrabbiato, non me lo ricordo”. Fisicamente i due fratelli si somigliano: “Abbiamo entrambi gli occhi e i capelli castani ed entrambi, nell’aspetto, ricordiamo nostro nonno materno. Pasquale, però, è molto più magrolino”. Quanto al carattere, la faccenda è più complicata: “La malattia che lo ha colpito non gli ha dato la possibilità di esprimere un carattere preciso. Questo non vuol dire, però, che non riesca a comunicare: ci fa capire le sue esigenze attraverso piccoli movimenti del corpo, si rende conto che una persona gli sta parlando e si accorge del contatto fisico. A volte basta un semplice movimento delle braccia per esprimere un’intenzione. Per noi che lo conosciamo non è difficile capire cosa vuole dire, chi lo conosce bene come noi sa quando va tutto bene e quando è il caso di preoccuparsi”.
Pasquale è un tipo tranquillo, non è difficile stare da soli con lui. Non è mai mancata occasione per aiutare mamma, e io sento il dovere di farlo.
“Ho sempre dato una mano a casa”, ribadisce Francesco. “A volte mi offro volontario per stare con mio fratello, quando i miei escono con gli amici. Ho molta esperienza e nessun problema a restare solo con lui: posso aiutarlo ad andare al bagno, cambiarlo, portarlo dal letto alla sedia e viceversa. Mamma mi ha insegnato più o meno tutto. E poi Pasquale è un tipo tranquillo, non è difficile stare da soli con lui”. Insomma, sottolinea Francesco, “non è mai mancata occasione per aiutare mamma, e io sento il dovere di farlo”. Poi sui ruoli all’interno della famiglia, aggiunge: “Qualche volta è un po’ come se fossi un figlio unico: non perché io non percepisca la presenza di Pasquale, ma perché alcune cose le ho fatte soltanto io. Così, mi capita di chiedermi come sarebbe stato il rapporto tra noi, se non ci fosse stata la malattia. Per il resto la sua presenza nella mia vita non ha creato nessun problema. Gli altri pensano che abbia influito negativamente, ma non è vero. Tanti neppure si rendono conto dell’esistenza della disabilità, ma io ho imparato a convivere con la malattia di mio fratello. E i miei genitori hanno sempre cercato di non far pesare il proprio malessere su di me. Non ho mai sentito dire a mia madre: perché è successo proprio a me? Il comportamento dei miei genitori ha avuto un’influenza positiva su di me”.
Quando sono nato io, la malattia non si era neppure manifestata: se i miei genitori lo avessero saputo, magari non avrebbero neppure pensato a fare un altro figlio.
“Pasquale è nato nel 1996 e si è ammalato nel 2000, all’età di quattro anni. I miei genitori sono entrambi portatori sani di da ceroidolipofuscinosi. In passato ho fatto tante domande sulla malattia di mio fratello, oggi non chiedo più nulla. Prima domandavo sempre: perché? Come mai? Cosa è successo? Adesso penso ai molti genitori portatori sani, come i miei, che hanno due o tre figli con la stessa malattia di Pasquale. Io, invece, non sono neppure portatore sano. E, quando sono nato io, la malattia non si era neppure manifestata: se i miei genitori lo avessero saputo, magari non avrebbero neppure pensato a fare un altro figlio. Insomma, è chiaro che la cosa mi tocchi in maniera diretta”.
Il problema è che la malattia non si stabilizza, si aggrava. Non so per quanto tempo potrò godere della presenza di mio fratello: ma finché lui ci sarà, io sarò accanto a lui.
“Spesso quando esco con gli amici mi rendo conto della loro reazione di preoccupazione o tristezza alla vista di persone affette da malattie gravi. Io, invece, vedo la disabilità come un raggio di luce e non reagisco allo stesso modo. Da questo punto di vita la malattia di mio fratello mi ha davvero aperto la mente. Quando i miei escono, io invito gli amici a casa e, mentre aiuto mio fratello, spiego loro cosa sto facendo. In questo modo trasmetto loro qualcosa. Probabilmente, qualcosa di positivo. Il problema vero”, continua, “è che questa malattia limita le aspettative di vita. Non si stabilizza, si aggrava. Non so per quanto tempo ancora potrò godere della presenza di mio fratello: ma finché lui ci sarà, io sarò accanto a lui. Mi è pesato andare via, all’università: so che in famiglia è venuto a mancare un aiuto. Ma volevo scappare dal paese, fare esperienze, aprirmi a livello mentale. E ora vivo a Roma, a circa due ore di auto da casa. Ma quando posso, torno sempre: so che in famiglia posso sempre dare una mano”.
Intervista a cura di Antonella Patete.